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A tu per tu con… mister MARCO FABBIAN

“A TU PER TU CON…” è un nuovo spazio di approfondimento a 360° con i protagonisti della nostra squadra!

Sogni, ricordi, aneddoti e curiosità per conoscere meglio chi, ogni domenica, ci fa tifare sempre più forte per il CALCIO ROSÀ!

Questa settimana la “RAFFICA DI DOMANDE” tocca al nostro mister della Prima squadra MARCO FABBIAN!

Quando e dove sei nato? 09.01.1970 a Castelfranco.

Come è nata la tua passione per il calcio? Io sono nato col pallone, perché come ti dicevo sono nato nel ’70, anno in cui mio zio, fratello di mio padre, vinceva lo scudetto con l’Inter. Lui, infatti, era un calciatore professionista e lo fu per altri 10 anni dopo la mia nascita, quindi i regali che ricevevo quando ero ragazzino erano scarpe da calcio, palloni e tute.

Qual è la partita che ricordi con più affetto e perché? Le partite che ho nel cuore sono due. La prima è la seconda finale per lo scudetto che abbiamo fatto con i Giovanissimi del Montebelluna, in cui incontravamo la stessa società che con un’altra squadra che avevo come allenatore due anni prima avevo perso la finale per lo scudetto. Ecco, due anni dopo, sempre contro questa società di Roma abbiamo vinto lo scudetto, partendo da sfavoriti a Pescara. È un ricordo che rispolvero con molto piacere. Poi, più che una partita, sono legato al primo anno che ho fatto a livello di prima squadra ad Istrana, cercando di creare un’idea di calcio diversa rispetto a quella che aveva la squadra. Nonostante lo scetticismo da parte di tanti, i ragazzi ci credevano. L’abbiamo portata avanti per tutto l’anno, senza guardare ai risultati, e alla fine abbiamo fatto il salto di categoria, andando in Eccellenza. Sono ricordi che conservo con orgoglio, ma anche con affetto, perché avevo un gruppo che ci credeva moltissimo e che mi ha dato una grossa mano.

Un momento che ricordi con particolare affetto legato a te ed ai ragazzi che alleni? Credo di averlo detto in tante occasioni, a Rosà mi sono sentito fin da subito legato a questo gruppo, è una sensazione che sentivo già dopo due giorni di allenamento con loro. Non so se sia il modo che hanno di allenarsi, se sia la forte unione che c’è fra di loro a far sì che anche uno appena arrivato, come me, si senta da subito parte integrante del contesto.

Se potessi rigiocare una partita, quale sarebbe e perché? Ti dico una partita di questa stagione, che mi piacerebbe rigiocare per provare le stesse sensazioni: quella contro la Marosticense. L’abbiamo ribaltata in 9 contro 11, sotto di 2-1, siamo riusciti a portarla al 3-2 alla fine. È stata una dimostrazione di quello che è effettivamente il gruppo Rosà. In quest’occasione ho vissuto, nell’arco di 90 minuti, delle emozioni intense, in particolare alla fine. Un’altra che rigiocherei di questa stagione è quella con lo Schio, al ritorno, rigiocandola nella stessa maniera. Vorrei vedere se il risultato cambierebbe, perché secondo me avevamo fatto una buona partita ed è stato ingiusto uscire con il 2-0.

Come è cominciata la tua carriera da allenatore? La mia carriera da allenatore è cominciata presto, perché ho avuto un problema fisico da molto giovane e non ho più potuto giocare. Sono stato fermo quasi due anni, ma il calcio mi mancava tremendamente. Ho avuto la fortuna che a Castelfranco stava rinascendo il settore giovanile e mi hanno chiesto, avendo anche giocato al Giorgione, di andare ad allenare i piccoli. Da lì ho fatto 2/3 anni a Castelfranco, poi sono andato a Montebelluna e ci sono rimasto per 10 anni.

Quali sono i tuoi primissimi ricordi legati al calcio? Sai, quando a 6 anni entri in uno stadio di serie A è una magia. Se poi lo fai per veder giocare un parente è una gioia immensa. Ricordo che a fine partita potei andare al di là dei tunnel degli spogliatoi e quindi era tutto emozionante. Ricordo con altrettanta gioia anche i tornei che si organizzavano d’estate tra le vie del mio paese, Castelfranco. Li organizzavamo noi ragazzi ed erano partite epiche, che duravano anche 3 ore.

A tuo avviso, qual è il peggior difetto che può avere un allenatore? La presunzione secondo me, il fatto di pensare di saper tutto. La sicurezza per un allenatore è importante, essere convinti di quello che si propone è la prima cosa, ma senza cadere nella presunzione o nella certezza assoluta.

E il pregio? Andare avanti con le proprie idee, senza farsi condizionare da niente e da nessuno.

Qual è la scelta che rifaresti e quella che non rifaresti in ambito calcistico? Qualche anno fa ho fatto una stagione in serie D, ero un tecnico emergente e forse in quel periodo qualche scelta avrei potuto farla diversamente. Io però sono della filosofia che tutto serve e tutto aiuta e quindi anche quella stagione è andata bene così. Non ho rimpianti, so di aver dato tutto sempre, quindi sono sereno. La scelta che rifarei assolutamente, invece, è quella di aver ascoltato poche persone quando ho cominciato a lavorare con le Prime squadre. Ho sempre creduto, nonostante quello che dicevano gli altri, che i ragazzi possano fare un certo tipo di calcio anche nelle categorie un po’ più basse e sono andato avanti con questa idea.

Ricordi il complimento più bello che hai ricevuto in ambito calcistico? Più che complimenti, direi delle dimostrazioni. Ho ragazzi che ho allenato nei settori giovanili di Montebelluna e Giorgione, che hanno giocato ad altissimi livelli anche in serie A e in serie D, e quando li incontro mi dicono che alcuni dei miei insegnamenti gli sono serviti nei loro percorsi calcistici. Questo è fonte di soddisfazione. Allo stesso tempo, anche i miei ex giocatori che ora allenano i piccolini nelle società dei loro paesetti, quando mi incontrano mi dicono che sono riuscito a trasmettere loro la mia passione. Queste sono le cose più belle.

Come ti vedi fra 10 anni e dove? Questa è una domanda difficile. Credo sarò ancora nell’ambiente calcistico, faccio fatica a stare senza calcio. Io quando finisco la stagione, la prima settimana mi rilasso, poi inizio già a scalpitare perché mi manca, quindi fra 10 anni sarò ancora nel mondo del calcio, ma non so dove. Chiaramente ho delle ambizioni, a questa età credo sia giusto così, le ambizioni fanno migliorare e fanno crescere.

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